Esiste una strana correlazione tra Angkor Wat e la Costellazione del Drago, una quindicina di edifici ne riproduce la conformazione stellare.

Angkor in sanscrito significa la Città, la Capitale, ed è un capolavoro avvolto dal mistero, come lo è la sua estinzione. Inspiegabilmente la vita si è fermata, come tutto si fosse tramutato in pietra, avvolta e nascosta poi da una lussureggiante vegetazione, che ne evidenzia il contrasto austero. Sul territorio si contano cento santuari, alcuni dei quali raggiungono le dimensioni del tempio di Luxor in Egitto, distribuiti su ben seicento chilometri quadrati. Un impero abbandonato da un popolo preda di una follia costruttiva, disinteressato delle cose umane.

Il primo a fornire un resoconto di questo luogo fu a suo tempo Marco Polo alla fine del XIII secolo. Ne parlò come di un centro religioso in mezzo a una regione di risaie. Contò circa venti templi, compreso il Bayon, descrivendolo con torri e tetti ricoperti di lamine d’oro, attualmente non più esistenti.

Sui lati delle torri troneggiano quattro facce gigantesche dagli occhi chiusi e un sorriso enigmatico e bonario. I bassorilievi rappresentano storie di corte insieme a motivi epici dell’India antica, resoconti di una vita sfarzosa di un popolo libero di fare della satira, teso verso il progresso, ma in piena decadenza dovuta al prolungato momento di prosperità.

Angkor Wat e la Costellazione del Drago

Le iscrizioni e i reperti archeologici fanno risalire la costruzione di Angkor tra l’802 a.C. e il 1220 d.C.. I suoi monumenti, rappresentazioni in pietra dei miti indù, sono tutti orientati con precisione verso gli effettivi punti cardinali, cosa che poteva essere compiuta solo da chi conosceva l’astronomia e le scienze geodetiche. È lecito quindi dedurre che vi siano analogie con le terre d’Egitto, che rivelano un legame nascosto tra Giza e la città cambogiana, i cui elaborati presentano evidenti radici comuni.

Non si può considerare casuale che Yama fosse, come Osiride, preposto al giudizio delle anime, coadiuvato, come il dio egizio, da personaggi a loro volta affini, Dharma come Maat, Chitragupta come Toth. Gli studiosi sono convinti che si tratti solo di semplici coincidenze e che non vi possano essere collegamenti tra le due terre. La tradizione locale vuole che i templi e le piramidi di Angkor siano stati eretti da Visvakarna, l’architetto degli dèi.

Il primo architetto egizio è identificato con Imhotep, che inventò l’arte di tagliare le pietre e al quale si attribuisce il progetto di Saqqara. È proprio in questo luogo che sono visibili opere murarie con motivi ornamentali composti da cobra dal cappuccio aperto, come quelli presenti ad Angkor.

Angkor Wat e la Costellazione del Drago

Forse è davvero solo coincidenza, ma per entrambi i paesi il serpente poteva abitare sia in terra che in cielo. Così è scritto nei sacri libri.

Angkor Wat è composta da cinque recinti rettangolari, con i lati corti allineati verso nord-est. Le misure dei quadrati, dei canali, della strada rialzata, evidenziano una cura estrema da parte dei costruttori. Suryavarman II lo fece erigere nel 1150 d.C. come suo tempio funebre. Si tratta dell’edificio più importante, orientato lungo un asse est-ovest, e viene classificato come edificio equinoziale al pari della Sfinge egizia.

Graham Hancock, uno studioso di archeoastronomia, ha dimostrato che esiste una strana correlazione tra una quindicina di templi della città e la costellazione del Drago. C’era però da risolvere il non facile problema dell’individuazione del periodo dell’anno in cui la costellazione assumeva esattamente la posizione zenitale rispetto alla piana di Angkor, nonché il giorno in cui presentava la stessa orientazione dei templi, non trascurando il fatto che, a causa del moto della Terra, un gruppo di stelle non rimane fisso sulla volta celeste, ma subisce piccoli spostamenti molto lenti, legati al fenomeno della precessione.

Poiché il Drago è una costellazione settentrionale, richiede un’osservazione orientata verso il nord. Di conseguenza anche i templi di Angkor, per riprodurre sul terreno la disposizione del Drago, dovevano essere osservati guardando verso nord.

Angkor Wat e la Costellazione del Drago

 

Ma la sorpresa maggiore fu quando, mediante un programma elettronico capace di simulare la posizione di una costellazione su un preciso momento dell’anno, si decise di puntare sull’equinozio di primavera del 1150 d.C. Il risultato fu sorprendente, la costellazione del Drago apparve rovesciata esattamente di 180 gradi rispetto alla sistemazione topografica dei templi. Il risultato della ricerca sulla posizione esatta delle stelle del Drago in rapporto ai templi fu ancora più stupefacente: corrispondevano all’equinozio di primavera del 10500 a.C..

I problemi di interpretazione a questo punto divennero ancora più complicati, nessuna prova archeologica testimoniava la presenza di insediamenti umani ad Angkor in un’epoca così remota. Ma l’elemento più sorprendente della ricerca di Hancock fu che il richiamo della costellazione del Drago può essere associato al fatto che questa creatura leggendaria, assieme al serpente, è il motivo dominante della scultura khmer.

Forse si trattava di una civiltà di navigatori, che aveva potuto misurare il globo e suddividerlo in linee verticali e orizzontali, ossia i meridiani e i paralleli, e che quindi era in possesso di cronometri marini che fornivano la misura esatta della longitudine, permettendo loro di disegnare precise carte geografiche. Una civiltà che certamente visse dodicimila anni fa e che volle ricreare sulla Terra alcune costellazioni e segni zodiacali nell’esatta posizione che occupavano nel cielo al loro tempo.

Per questo adesso sappiamo che la Sfinge guardava a est il suo segno zodiacale, il Leone, che le piramidi erano rivolte a sud, verso Orione, che Angkor era orientato a nord, verso il Drago. Recentemente, inoltre, è stato verificato che la piramide di Akapana a Tiahuanaco è orientata a ovest, e nel 10500 a.C. verso quel punto si osservava l’Acquario, che la stessa struttura, con il suo complicato sistema di canali, intendeva riprodurre.

Se la piana di Giza un tempo segnava il meridiano zero, il nostro attuale Greenwich, noteremo che Angkor si trova a 72 gradi a est. È ovvio a tal punto che in tempi remoti, forse molto più di quanto si creda, la civiltà esistente sapeva che una sfera poteva essere divisa in cinque spicchi di 72 gradi l’uno, per un totale di 360 gradi, e di conseguenza che la Terra era rotonda. Il 72 è un numero che fa parte del calcolo precessionale. Angkor Wat è in linea con l’alba dell’equinozio di primavera, e quel giorno si può osservare, dalla strada rialzata, il sole sorgere sulla cima della torre centrale.

Il Drago è la raffigurazione del serpente naga, il Re Cobra dalle sette teste, rappresentato sulla balaustra della strada rialzata con i cappucci aperti. È anche il serpente che Minerva scagliò nel cielo, dopo averlo rubato ai giganti, ed è il cobra che, con le sue spire e le sue teste, protesse Buddha dalla tempesta senza fine.

Quel Re facente parte del gruppo di serpenti che governarono sulla Terra, che fecero pace con la quinta razza, l’ammaestrarono e l’istruirono. Osiride veniva descritto come un grande Drago sdraiato sulla sabbia, che si trasformò in serpente quando scese nel mondo dei morti. e in quanto Signore del Duat risiede in un palazzo le cui pareti sono formate da cobra vivi.

Il Cobra dell’Egitto e gli uomini falco, gli Shemsu-Hor, i seguaci di Horus, sono l’uomo-uccello con la testa di aquila, Garuda, nemico dei serpenti, identificato con la costellazione dell’Acquario. E ancora, è Ananta, fra le cui spire dormiva Visnù in fondo all’oceano, prima di emergere per ricreare il nuovo universo, trovando in tal modo un’affinità con Atum e la Collina primordiale.

Come il serpente rinnova periodicamente la sua pelle, è il momento della rinascita, della rigenerazione del tempo, immortalata nei mille e duecento metri quadrati dei bassorilievi della galleria di Angkor Wat, che riproducono una parte della mitologia indù nota come la frullatura dell’Oceano, ovvero la Precessione degli Equinozi. La stessa mitologia, descritta nei libri sacri come il Ramayana e il Mahabharata, narra di come dèi e demoni si unirono, per compiere quell’azione conosciuta come frullatura, al fine di conseguire l’immortalità.

Sulle pareti di Angkor Wat viene simboleggiato quel movimento. L’oscillazione dell’asse terrestre, che altera la posizione apparente di tutte le stelle, è stata uno dei soggetti privilegiati di un’intera serie di miti giunti sino a noi dalla più remota antichità. Nell’induismo il carattere ciclico della precessione veniva associato al concetto dell’immortalità dell’anima.

Asura e deva sono intenti a tirare le spire del serpente intorno al monte Mandera, per facilitare il passaggio da un epoca astrologica all’altra. Un demone asura tiene in tirare il re naga Vasuki, un cobra dalle cinque teste, come le cinque parti di 72 gradi, in cui è divisa la Terra, aiutato da 85 demoni minori.

Dalla parte opposta un deva tira la coda aiutato da 85 dèi minori. Al centro il cobra è legato a un monte, il Mandera, che poggia sulla tartaruga Kurma, mentre, sospeso sulla vetta, Visnù tiene il serpente con le mani. Esistono rilievi in Egitto che raffigurano Horus e Set intenti a tirare i capi di una corda, che gira intorno a una specie di trapano al fine di farlo ruotare.

Angkor Wat e la Costellazione del Drago

È interessante inoltre sapere che due dei quattro condotti di aerazione della Grande Piramide erano orientati verso due stelle, che interessano la zona di Angkor: uno verso Thuban, stella di coda della costellazione del Drago, l’altro, l’ultimo, verso Kochab, che fa parte dell’Orsa Minore, riprodotta ad Angkor vicino al tempio di Ta Sohn.

Risulta evidente l’esistenza di un disegno globale teso a trasmettere un messaggio alle generazioni future. Mentre la costellazione del Leone sale in linea con la Sfinge, nello stesso istante quella del Drago ad Angkor e di Orione a Giza.

Se tutto ciò fa parte di un incastro preordinato, chi lo ha diretto aveva senza dubbio la conoscenza adatta per contare le stelle. Erano gli Shemsu-Hor, i seguaci di Horus giunti in Egitto nel primo tempo? Coloro che a Ankh-Hor, cioè Angkor, fecero rivivere il loro dio Horus? Coloro che concepirono il progetto nel 10500 a.C. e ne previdero il completamento nel 2500 a.C. per Giza, e nel 1150 d.C. per Angkor? Qual è la sorgente di tale conoscenza, che lasciò una profonda impronta in Egitto nel 2500 a.C. e in Cambogia 3500 anni dopo? Perché un riferimento così lontano nel tempo?

A proposito di storie, è bene ricordare che i saggi dell’India antica dedicavano la loro vita a esplorare quella che noi consideriamo la realtà. In questo simbolico viaggio verso la conoscenza affermarono di aver scoperto che il mondo ove viviamo non è reale, ma virtuale, una complessa illusione che ha coinvolto l’intera umanità, distraendola dalla via che porta all’acquisizione della completa conoscenza e al risveglio dei ricordi ancestrali necessari per la conquista dell’immortalità.

Tale allucinazione viene chiamata Maya e si può sconfiggerla attraverso la meditazione, la contemplazione, l’elevazione spirituale. Concetto che si ritrova nel Messico, ove la vita veniva considerata come un sogno e la morte il risveglio dell’anima che occupa il nostro corpo fisico. I testi ermetici confermerebbero il concetto e ribadirebbero che tutte le cose in terra sono irreali. Quindi giungiamo alla conclusione che, anche se diverse, queste correnti di pensiero concordano nel sostenere che l’umanità sarebbe stata dominata dalla magia di Maya e avrebbe oziato nella stupidità e nell’ingordigia verso le cose materiali per alcune epoche, fino a oggi.

È certo che alcune costruzioni, siano esse state erette dodicimila o duemila anni fa, disegnerebbero nei dettagli la formazione del Drago come appariva sull’orizzonte nell’equinozio di primavera del 10500 a.C.. Quindi circa undicimila anni fa i Khmer copiarono sul terreno una mappa celeste tracciata migliaia di anni prima, che in qualche modo era stata tramandata loro. Lo fecero per risvegliare un ricordo ancestrale, talmente celato nella mente, da venire completamente dimenticato. Tutto questo sarebbe provato dalla data, che è la stessa segnalata dalle tre piramidi e la Sfinge egizia, quasi si volesse attirare su tale data la nostra attenzione.

Angkor racchiude un messaggio simbolico evidenziato dalle 72 strutture in un luogo ove ricorrono spesso i numeri collegati alla precessione. Inoltre è evidentemente collegata a Giza, che dista a soli 72 gradi di distanza, parte di un disegno globale antico.

La mancanza di spiegazioni riguardo la repentina nascita del luogo, il suo ingegnoso e metodico sviluppo, il moltiplicarsi di grandi edifici in una zona invasa dall’acqua e perché tali costruzioni cessarono d’improvviso, non forniscono prove certe a riguardo.

Il progetto di ricostruire in terra ciò che si trova in cielo si riallaccia a quanto scritto nella famosa Tavoletta di Smeraldo, base della dottrina ermetica: conosco il grande segreto dell’universo, come sotto così sopra. Ciò che è sotto riflette ciò che è sopra. Altrettanto naturale collegare Horus a Ermes, considerato il fautore della tavoletta, identificato con Toth, colui che enumera i cieli conta le stelle.

Solo chi possedeva una grande conoscenza dei cieli poteva concepire e concretizzare un simile piano, che somiglia sempre di più a un messaggio lasciato ai posteri per avvisarli del prossimo cambiamento, che potrà portare disagi o benefici, a seconda del comportamento e delle scelte operate.


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