Una triplice dea è una divinità femminile che appare in tre forme o tre aspetti. Archetipo di molte religioni antiche, il concetto è presente anche nelle moderne religioni neopagane.

A volte la dea appare come essere dei sogni, come strega, in funzione delle circostanze o delle predisposizioni del visitatore o dell’intruso. Nella mitologia celtica viene identificata con la triade delle giovani, delle spose e delle donne anziane, che presiede la Nascita, la Vita e la Morte.

I luoghi ad essa consacrati rappresentano il grembo della Madre Terra, invocata sotto nomi e aspetti differenti.

Esistono numerose iscrizioni galliche, Gallia Transalpina e Cisalpina (iscrizioni leponzie), indirizzate a Gwena, Belisama, antichi nomi della Dea, Brida, Brii, Bria, divenuto poi Brighit, ancora la Madre rappresentata sotto forma di triade, modello che spesso viene richiamato nell’arte e nella letteratura assieme al suo bambino e a un cesto di frutta, simbolo di fertilità e abbondanza.

Un’altra rappresentazione popolare è quella della dea Epona, abitualmente a cavallo e a volte accompagnata da un rapace. La Luna, con i suoi poteri sulle maree e sui cicli mestruali, figurando un insieme universale di simboli, presiede ai riti notturni legati ai canti degli animali, come il serpente ed il lupo.

Nell’Italia del nord sono presenti numerosi reperti e testimonianze di tali divinità, in cui la Dea Madre assume anche vesti solari.

A Milano sono state di recente scoperte statuette votive e bassorilievi di Belisama, divinità luni-solare, che reca accanto a sé una scrofa semi lanuta, animale-simbolo delle sue peculiarità: dono della guida oltre il mondo visibile, per individuare il nemeton, spazio sacro ai Celti, che veniva chiamato anche faro del soprannaturale, e costruire il santuario, nonché simbolo totemico dell’insediamento originale della città. La leggenda milanese vuole che questa divinità fosse venerata durante la festività di Beltaine, che cadeva il primo giorno di maggio.

Altra importante testimonianza del culto matriarcale e della grande importanza che rivestiva la divinità femminile, la ritroviamo nel nome della terra di Brianza, la cui etimologia si basa sull’antico termine celtico Brià, derivante dalla divinità più importante che è appunto Bri, Bride, Brighitt, o meglio nota come Briganzia, e nel continente come Belisama.

Presso gli antichi Celti, i templi e le cappelle votive venivano costruiti secondo un principio analogico/simbolico, che riporta le coordinate celesti in terra, seguendo la simbologia lunare con le sue ventotto dimore.

Una delle singolarità che risalta subito all’occhio è data dalle chiesette di pochi metri quadri sparse per tutto il territorio sub-montano, costruite sui nemeton antecedenti dedicati alla divinità, la fondazione delle quali per la maggior parte risale ai Longobardi, in seguito consacrate a San Pietro.

Tale dedica per analogia si riferisce alla Pietra alchemica, per cui, secondo questo concetto, le chiese così disposte formano la mezzaluna fertile, che rappresenta la divinità Brighidh incarnata in terra. Fertile, perché è quella divinità che più di altre si venera, colei che nutre e arricchisce la terra e tutta la Natura.

Per fare alcuni esempi citiamo la chiesa a Gemonio, fondata da Liutprando nell’VIII secolo d.C.; San Pietro di Albese, in località Cassano, fondata nel 1000 d.C.; San Pietro al Monte, a Civate, risalente al 706 d.C.; la Basilica di Agliate, vicino a Galliano, celebre per la sua cripta a oratorio, la cui costruzione risale alla fine del X secolo.

Unendo i punti con una linea continua, si ottiene infatti la figura di una mezzaluna, centro di alto potere calorifico. Tale mezzaluna è crescente, chiara simbologia ermetica del mezzo necessario alla palingenesi umana, quale può essere il cervello nella sua fase di crescenza, verso la condizione di Luna Piena, completa.

La Pietra alchemica, quindi, simbolo anche delle Acque primordiali, Acque identificate in tutti i laghetti che si incontrano nell’arco di questa zona: il lago di Varese, Alserio, Segrino, Oggiono, Annone e altri ancora.

Il nome di Belisama può essere interpretato come formato dal celtico belo, chiaro, e samo, estate, ossia l’Estate Splendente. Nella mitologia gallica lei è la consorte del dio Belenos. È una dea di tutti i tipi di fuoco, il Sole e la Luna, di cui riflette la luce, e dell’artigianato.

Tuttavia, la sua equazione con la dea Minerva e il fatto che venga spesso rappresentata con dei serpenti fra le mani stanno a indicare che era una dea della saggezza e della guarigione, e, come un portatore di luce, avrebbe potuto essere la dea della fucina.

Nel politeismo celtico era venerata unicamente in Gallia Cisalpina e in Gran Bretagna ed era collegata a laghi e fiumi, al fuoco, all’artigianato e alla luce.

Secondo un’antica leggenda, nei sotterranei del Duomo di Milano esiste ancora oggi un lago segreto protetto da un cerchio di colonne, che recano incisioni magiche e l’effigie della dea, mentre allatta suo figlio, la Grande Madre nell’atto di generare il Sole: acqua e fuoco, che insieme formano la Pietra Filosofale degli alchimisti.

Due divinità femminili, dunque, una sulla cima più alta del Duomo, aurea, la Madonnina, che rappresenta il Sole di Primavera, la rinascita, e l’altra, quella nascosta, sotterranea, che rappresenta le forze telluriche e che risiede nel cuore profondo della città.

Gli Insubri la tenevano in grandissima considerazione, tanto da erigere templi in tutto il territorio a protezione dei focolari.

A Milano vi sono altri luoghi sacri ove le forze benefiche della terra agiscono sull’acqua: uno di questi è il pozzo della chiesa di San Calimero. vicino Porta Romana, edificata nel V secolo d.C. su quello che restava del tempio più antico degli Insubri dedicato a Belenos, il dio celtico del Sole.

La chiesa di San Calogero, a destra di Corso Genova, edificata sui resti del tempio dedicato a Giove, che racchiude una fonte considerata dai vecchi milanesi miracolosa. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce i resti di un dolmen, pietre megalitiche, che ancora ai giorni nostri si possono ammirare sulla fiancata dell’edificio religioso.

Il terzo luogo sacro è rappresentato da Santa Maria alla Fontana, il cui nome deriva dalla presenza di una fonte, che sgorga da una pietra di origine pre-romana recante undici incisioni. Questa pietra si trova a due metri e venti sotto terra, incastonata nel mezzo di un suolo quadrato. L’acqua proviene da un’ampolla sorgiva.

Non ultima, la chiesa di San Giovanni in Conca, in Piazza Missori, con i suoi pilastri, che recano bassorilievi rappresentanti la ruota solare, o anche chiamata rosa dei venti, uno dei simboli celtici solari più importanti. In questa chiesa una volta era conservato un calderone, che oggi purtroppo è scomparso.

Il fiume, o il corso d’acqua in generale, rappresenta un’espressione mobile della Madre Terra, che rende sacro l’elementale. È la combinazione particolare delle diverse proprietà minerali, vegetali e volatili, che emanano certe sorgenti in specifiche ore del giorno e della fase lunare, creandone i poteri rigeneratori.

Ogni luogo sacro ha il suo Spirito Guardiano che veglia, osserva i riti quotidiani, secondo il cerimoniale voluto, e si può materializzare sotto forma di canto, di uccello, di pesce, in onore della Dea.


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