L’Ultima Cena di Gesù e i suoi Apostoli ebbe un significato ben più ampio di una semplice condivisione di un pasto e non ha a che fare con la tradizione di consumare carne di agnello in relazione alla Pasqua.
Alcune tradizioni hanno una vita propria: si diffondono, si espandono e se ne perde, molto spesso, la memoria storica ed il significato originario. Nel clima pasquale, proviamo a chiederci perché avviene una strage di tanti miti agnellini che finiscono sulle nostre tavole, un’usanza che si ripete nell’indifferenza e nell’ignoranza della stragrande maggioranza delle persone che neanche si pone domande sul significato della Pasqua (e non mi riferisco ad un discorso di fede o necessariamente religioso, ma culturale o quanto meno di costume).
Proviamo a fare una riflessione sull’ultima cena di Gesù Cristo: il giovedì (primo giorno del triduo pasquale) è appunto ricordato soprattutto per l’istituzione del memoriale eucaristico.
Si trattò davvero di una cena pasquale oppure fu soltanto una cena di commiato ai discepoli, come ritiene oggi la maggior parte degli studiosi di Sacra Scrittura e perfino uno dei più grandi teologi dell’epoca contemporanea, Joseph Ratzinger, nel suo splendido libro “Gesù di Nazareth”, considerato un capolavoro di chiarezza e di lucidità da Cattolici, Evangelici e da esponenti di altre religioni.
È da premettere, senza entrare in dettagli tecnici analizzati dagli esperti, che la questione della natura e della stessa datazione dell’“Ultima Cena” è difficoltosa, in quanto le cronologie dei Vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) ed il Vangelo di Giovanni presentano diversità nel racconto degli ultimi giorni di Gesù di Nazareth.
Secondo l’esegeta Meier, seguito da Ratzinger nel precitato testo (il papa emerito, sia chiaro, scrisse il libro come “teologo” e non come “papa”, nelle funzioni magisteriali), l’Ultima Cena non fu un pasto pasquale, bensì una cena conviviale svoltasi la sera prima della Pasqua giudaica. In tale contesto Gesù intese anticipare i significati essenziali del dono della propria vita. Sembrerebbe, al di là del memoriale del pane e del vino, che Gesù addirittura si astenesse dal cibo; un passo importante per tale interpretazione è Luca 22, 15-18: “Ho ardentemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico non la mangerò più, finché essa non si compia nel Regno di Dio…”.
Un’altra interessante ipotesi, che emerge dal testo di Joseph Ratzinger, è che Gesù abbia consumato il pasto in compagnia degli apostoli, ma presso una comunità di Esseni. Questa comunità era notoriamente vegetariana e praticava una spiritualità interiore in contrasto con il formalismo giudaico.
Gli Esseni osservavano un calendario solare diverso da quello lunare adottato in ambiente ebraico e secondo tale ricostruzione l’ultima cena sarebbe avvenuta il martedì e non il giovedì, spiegando così alcune discrasie cronologiche che si notano tra il racconto dei Sinottici e quello di Giovanni. In ogni caso, che vi sia stata cena pasquale o una cena di commiato per affidare la missione ai più intimi collaboratori, nel pasto di Gesù non vi è traccia di agnello: è lui stesso l’agnello che deve essere immolato per la salvezza dell’umanità.
La tradizione di mangiare l’agnello a Pasqua è mutuata direttamente dalla religione ebraica e non ha assolutamente un valore di memoriale cristiano.
Di Luigi Angelino
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